Il mio nome è Simone e amo molto l'avventura, compresi i personaggi come i banditi e i briganti, quelli che ti scatenano l'adrenalina.
Prima di tutto
mi presento: mi chiamo Kole.
Io
sono un sud americano di undici anni, con la mia famiglia e due
carovane guidate da mio papà, ci spostiamo continuamente nel Gran
Canyon, ma il luogo che abbiamo attraversato più spesso è la pista
del Bright Angel. Quella coda di terra e rocce, ci ha protetto da
tante cose: prima di tutto dal clima, lì è molto mite e favorevole
rispetto ad altri ripari. Poi, è una zona che i banditi più
terribili, non conoscono e quindi non c’è il pericolo che ci
facciano delle imboscate.
A proteggerci,
comunque, ci sono anche gli indiani che quando abbiamo bisogno, ci
forniscono di cibo, acqua e protezione, per quando ci spostiamo in
zone non proprio sicure. Noi tanto tempo fa abbiamo fatto un patto
con gli indiani, un patto di mutuo soccorso e ci aiutiamo in ogni
situazione.
A
proposito di banditi: i banditi più pericolosi nel Gran Canyon sono
i Gold Finger:
Gold,
perché sono cacciatori di persone o schiavi, per farli lavorare fino
alla morte scavando nella roccia per trovare l’oro. E Finger,
perché devono ricostruire le mani del loro capo, di oro, perché gli
sono saltate via a causa dell’esplosione di una bomba.
Ho
sentito parlare molto di loro da un vecchietto, che mi disse che suo
figlio, un bel giovanotto di venti anni, era stato rapito da due
soldati semplici dei Gold Finger. L’avevano messo nel reparto di
quelli che possono lavorare tutto il giorno. Il posto era un vero
inferno.
Il
giovane si ritrovò prigioniero in uno stanzone roccioso, assieme a
molti altri. Tutti in fila due a due, e poi venivano separati: quelli
a destra, si sarebbero salvati e avrebbero lavorato fino al resto dei
loro giorni, invece quelli a sinistra, sarebbero stati messi, in
grandi prigioni sotterranee e lasciati morire per mancanza di cibo,
di acqua, di ossigeno e per le malattie. Anche per quelli che
lavoravano le cose non si mettevano bene: uno a uno, cadevano a
terra, sfiniti e lasciati lì a marcire. Gli schiavi potevano godere
di mezz'ora di riposo, al massimo. Il cibo scarseggiava, e molti di
loro infatti morivano denutriti.
Quel
giovane, fortunatamente, riuscì a cavarsela: riuscì a sottrarre
senza essere preso i vestiti di una delle guardie (di solito usavano
coprirsi il volto per non farsi riconoscere) e li indossò. Così
conciato riuscì a fuggire e a mettersi in salvo. Tanti furono gli
schiavi che tentarono questa mossa, ma nessuno di loro riusciva a
parlare come uno di loro, quel giovane invece lo sapeva fare, parlava
come uno del posto. Miracolosamente, riuscì a salvarsi, ma la strada
per arrivare all’accampamento, era così lontana per le sue
condizioni, che morì soltanto dopo soli due chilometri di cammino.
Il corpo lo trovarono in mezzo al deserto, durante uno spostamento di
carovane. Il padre appena seppe la notizia, si disperò a morte.
Infatti anche oggi si ricorda la sua morte con una preghiera recitata
dal capo tribù.
Come
stavo dicendo, io ho undici anni, e quando si arriva al dodicesimo
compleanno, da noi si compie un rito di iniziazione. Il rito di
iniziazione, è la celebrazione del passaggio da bambino all'adulto.
In pratica, dopo il rito, devi mettere la testa a posto e ragionare
come un adulto.
Io
ho già assistito ad un rito di iniziazione: il capo indiano recita
una preghiera di benedizione mentre l'iniziato mastica delle erbe
allucinogene che lo fanno addormentare. Io sono arrivato fino a qui,
poi ho dovuto andarmene, la parte sacra non mi hanno permesso di
scoprirla. A dire la verità, io non mi sentivo tanto pronto per il
rito, ero ancora un ragazzino viziato e non me la sentivo di
affrontare prove pericolose in cui potevo farmi male e non uscirne
vivo.
Ad
ogni modo, non sarei stato solo, avrei affrontato le prove con un mio
amico di nome Cui.
Cui
non è come me, anzi, ha subito parecchie violenze fin da bambino dai
suoi genitori, era abituato a essere forte e a difendersi per
sopravvivere.
Non
sapevamo cosa sarebbe successo: era tutta una questione di destino.
Il grande giorno arrivò. I miei mi dissero di andare nel tepee del
Grande Capo Maricoleap. Mi sentii a disagio, ma finché c’era Cui
mi sentivo al sicuro. Maricoleap, buttò in aria le mani con uno
scatto fulmineo e iniziò a recitare delle formule magiche per
invocare gli Spiriti affinché ci dessero la loro protezione. Poi
fece preparare un infuso di erbe che ci fece bere. Appena lo bevemmo,
ci fece svenire dallo schifo: sembrava di bere un rospo in
decomposizione da tre mesi, putrefatto. Quando ripresi i sensi mi
ritrovai nel deserto. C’era soltanto sabbia, qualche cespuglio e
montagne. In tasca mi accorsi di avere un biglietto: lo estrassi e
lessi:
Carissimo
kole, se per caso non te ne fossi accorto, sei stato sottoposto ad
un rito di iniziazione. Ti ho fatto addormentare con delle erbe. Se
proseguirai sul tuo cammino, più avanti troverai un fucile ed un
coltello. Fanne buon uso, sia per difenderti che per cacciare. Se
questo ti fa sentire più tranquillo, sappi che ha partecipato al
rito anche il tuo amico Cui. Occhio a non farti beccare dai banditi.
Il tuo compito è quello di tornare a casa due giorni se possibile. E
ricorda che quando tornerai a casa, dovrai comportarti come un uomo.
Gli altri non dovranno difendere te, ma sarai tu a dover difendere
gli altri. Ricorda che se hai bisogno di noi devi fare un grande
fumo, e noi ti verremo in soccorso. Cerca di non morire,
maricoleap
Ammetto che ci
rimasi male, soprattutto leggendo quel: cerca di non morire.
L’avrà
scritto perché della mia vita non gliene fregherebbe nulla neanche
se mi torturassero davanti a lui? Dopo tutte le storie che avevo
sentito sui banditi che rapivano la gente, mi terrorizzai al punto di
muovermi come se stessi derubando una casa con la paura di farmi
scoprire. Mi incamminai, raccolsi le armi e me le sistemai sulla
schiena. Girando nel deserto a vuoto, senza punti di riferimento,
cominciai ad avere paura. Non sapevo la direzione da prendere per
incontrare Cui. Ad un tratto in lontananza, scorsi un corpo steso a
terra e, pensando fosse Cui svenuto, mi avvicinai. Non era lui. Era
soltanto un gigantesco bisonte, a cui mancava un pezzo di pancia: era
stato divorato dagli avvoltoi. Da qualche parte lì dentro uscì un
luccichio, era una grande pallottola d’oro e in quel momento mi
vennero in mente i Gold Finger. Sono cercatori d'oro professionisti,
quella era una traccia sicura della loro presenza.
Iniziai a
pensare che sarei finito così: schiavo di lingotti.
Smisi di
pensare per non cadere nel panico e imbracciai il fucile pronto per
sparare. Non ne potevo più di camminare, stavo morendo dalla sete e
dallo sfinimento. Caddi a terra. Ricordai quel giovanotto e la fine
che fece: lì, per terra, da solo come un cane ad aspettare che la
morte gli venisse incontro e con un colpo di falce lo mandasse
all'altro mondo.
Ma ecco che
vidi venirmi incontro qualcuno, di statura bassa, forse un bambino,
con il mio stesso sguardo e il mio stesso desiderio di bere. Alzai lo
sguardo sotto il sole cocente e vidi Cui. All’istante ripresi tutte
le mie energie. Il mio amico era vivo e questo mi dava forza nuova.
Mi misi subito in piedi e lo abbracciai più forte che potevo. Mi
disse che aveva visto una grotta molto annerita perché molto in
alto. Secondo lui, c'erano anche delle falde acquifere lì vicino, in
cui poterci dissetare. Gli raccontai del bisonte e della pallottola,
ma lui come al solito mi disse di lasciare perdere. Quando scalammo
la montagnetta, ci accorgemmo che nella grotta, non arrivarono i
raggi del sole e così feci un po' di luce. Sotto ai miei piedi si
scoprì una piccola falda acquifera. Non sprecammo l’opportunità.
Bevemmo come dei cani, non ci importava nemmeno se ingoiavamo della
sabbia. All’improvviso, sentimmo un voce che ci disse:
“Si, si,
bevete pure, così avrete più energia per andare nella vostra nuova
casa!”
Mi venne un
colpo al cuore, sono certo che si fermò almeno per un minuto. Il
bandito venne fuori dall’ombra. Era vestito quasi tutto di nero e
aveva un grande cappello. Dalla spalla al petto aveva un cinturone di
cuoio da cui pendevano dei proiettili e delle piccole bombe a mano.
La faccia era coperta da una bandana. Al dito indossava un anello
rotondo, d’oro, con incise le lettere GF (le sigle di Gold Finger).
In vita, al cinturone, portava una pistola nera con inciso un teschio
sul manico.
Visto che lo
stavo guardando un po' incuriosito ed un po' terrorizzato, mi diede
un calcio sulla bocca:
“Maledetti
bastardi, se non volete morire o lavorare per l’eternità, ditemi
dov’è la vostra carovana!”
Noi gli
rispondemmo che eravamo stati abbandonati, e che il nostro padrone
era morto.
Lui fece una
smorfia:
“Lavoravate
per quel tizio?”
Mentendo gli
dicemmo che quello ci faceva lavorare giorno e notte e che ormai a
lavorare sodo eravamo abituati già dalla nascita.
Una balla che
doveva spingerlo a non sprecare l’opportunità di farci lavorare
come schiavi invece di non ucciderci subito. Come stavo dicendo, lui
prese il fucile e con un colpo di manico, ci colpì fortemente
entrambi sulla testa. Mi svegliai per il rumore di un colpo di
pistola, proprio accanto a me. Presi un tale spavento che mi alzai
in piedi di scatto, per ritrovarmi faccia a faccia con un ciccione
pelato, ma con una folta barba nera.
Indossava
soltanto un gonnellino fatto di stracci. In mano aveva un frusta
nera, formata da tantissime catene di ferro.
Si mise ad
urlare, con un calcio nello stomaco colpì Cui e lo fece svegliare.
Un brutto risveglio non c'è che dire, povero Cui. Il bestione ci
disse di girarci, ma appena ci girammo ci diede una frustata così
forte sulla schiena da farci saltare via dei pezzi di carne e di
sangue. Quel colpo fu così doloroso da farci urlare, e quando lo
facevamo il bestione ce ne dava un’ altra, fino a quando imparammo
che stare zitti conveniva. Cominciammo a guardarci intorno. Era una
grotta gigantesca e il soffitto arrivava fino a circa ottanta metri.
Intorno a noi c’erano almeno un centinaio di persone. Tutti
avevano in mano un piccone e continuavano a scavare. Per spostarsi
usavano dei grandi ponteggi, sul quale gli schiavi potevano salire o
scendere in base al lavoro che dovevano fare. Ci avevano riempiti di
botte eppure volevamo soltanto dissetarci alla grotta e... adesso
eccoci qui. Avrei fatto sicuramente la stessa fine di quel giovane,
ma senza tentata fuga. L’unica cosa che vedevo in quell’enorme
grotta, erano persone innocenti di tutti i tipi: bambini, adulti e
anziani. Il ciccione mi ordinò di fare quello che facevano gli
altri. Prese un anziano che non riusciva neanche a tenere il piccone
in mano e lo uccise per darmi il suo piccone. Cui, invece, avrebbe
raccolto le pietre per caricarle nella carriola e portala da quelli
che la analizzavano in cerca dell'oro. Dopo una
lunga giornata di lavoro, ci dissero di andare a dormire, nel luogo
che loro ci indicavano. Purtroppo, i posti in cui dovevamo dormire,
non erano un gran che. Era soltanto una stanza, si dormiva distesi
per terra, al freddo, e con mille guardie che non distoglievano mai
gli occhi da noi. Se beccavano qualcuno parlare, questo si prendeva
cento frustate per ogni parola. Proprio quella notte, assistetti
alla morte di un bambino di cinque anni per delle frustate. Quello
mi fece capire tutta la loro crudeltà. Visto che non potevo parlare
cominciai a pensare ai miei genitori: non gli avrei visti mai più e
sarei marcito in quel buco per l’eternità. Il mattino
successivo, mi svegliai bruscamente da una tremenda frustata alla
schiena: era stato quel tizio ciccione, era lui di guardia, e quindi
non sarebbe stata una bella giornata. Purtroppo, Cui era stato
spostato in un altro settore, però, dormivamo l’uno accanto
all’altro, sperando che primo o poi saremmo usciti da quel buco
orrendo. Volevo
scappare, pure nel più brutto dei modi, dalle latrine, ma in
qualche modo volevo cavarmi fuori da quell'inferno. In quei giorni,
dovetti mettercela tutta per non essere ucciso, mi mancavano le
forze. Finalmente fu l'ora di dormire, continuavo a fissare la
guardia: stava allerta e ci guardava uno ad uno. Ogni tanto gli
cadeva la testa sul petto e poi si ridestava, finché si addormentò. Speravo di
poter agire, ma non potevo. Anche il mio vicino di giaciglio era
sveglio, e approfittai per parlarci:
“Come ti
chiami?”
“Mi chiamo
Napa... hai fame?”
Io feci segno
di sì con la testa e lui dalla tasca estrasse una salsiccia. Mi
disse di mangiarla e io lo feci senza pensarci due volte, la mangiai
in un solo boccone. Disse che l’aveva rubata dalle tasche di una
guardia quella mattina. Quando mi svegliai, sentii dire dalle guardie
che il capo, aveva portato tanta polvere da sparo proveniente dalla
Columbia e che l’avrebbero messa in enormi sacchi, vicino a dove
lavoravamo, certi che noi non sapessimo cosa fosse. Notai che alcune
sere delle guardie ne prendevano un po’ e poco dopo si sentivano
degli scoppi. Pensai a Napa: se era riuscito a prendere quella
salsiccia dalle tasche di una guardia, allora, poteva prendere anche
la polvere da sparo di nascosto!
Avevo un piano
che ci avrebbe salvato tutti. Mi serviva, però, una fonte di calore.
Mi vennero in mente le parole di Maricoleap. Per avere il loro
aiuto, dovevo soltanto fare un grande fumo. La sera, quando la
guardia si addormentò, parlai a Napa del piano che avevo in mente.
Gli chiesi se fosse in grado di procurarmi della polvere da sparo e
una pietra focaia. Lui disse sì. La sera dopo, arrivò con tutto
quello che gli avevo detto, come se non ci fosse nessun problema o
ostacolo. Gli spiegai che proprio quella notte, con il mio piano,
avrei liberato tutti da quell’orribile buco. Feci passaparola a
tutto il mio piano, appena avessero sentito il mio urlo si sarebbero
dovuti spostare tutti con me. Presi la pietra focaia e il bastone
che mi aveva dato Napa, e accesi un piccolo fuoco.
Misi il fuoco
sulla polvere e sentii dei gridolini. Mi misi ad urlare come un
matto. Gli scoppi si susseguirono ovunque fino a far saltare le
porte, i muri e i ponteggi che crollarono tutti. Meno male che
nessuno di noi morì. Le guardie, sì, quasi tutte, perché
lanciavamo su di loro la polvere: morivano come mosche. Questo
posto, conteneva centinaia di guardie, ma la stanza che li conteneva
fu chiusa da un enorme masso, non potevano proprio passare.
Trascorse molto tempo prima che ci fu di nuovo silenzio. A parte le
urla dei soldati rimasti bloccati nella cella. Gli indiani, vedendo
il fumo, ci vennero in soccorso.Maricoleap,
per la nostra resistenza nella grotta infernale, ci premiò come
futuri Kaoi delle carovane.
Ora
siamo considerati da tutti come degli eroi.